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Fedeltà? Non esiste più. Unica soluzione? POLIAMORE Pubblicato il Giugno 26, 2018 - 10:13

 Lascivo, sboccato, libidinoso, maniaco, irriverente e pure privo di sto a morale: questi alcuni degli insulti destinati al matematico e filosofo inglese Bertrand Russell, e tutti a causa delle sue opinioni sul matrimonio, da lui giudicato già un secolo fa una scelta totalmente fallimentare perché, nove volte su dieci, realizzata tra due persone con poca o nulla esperienza di vita, che concepivano le nozze come una tappa doverosa, un fine e non un inizio, il cui unico scopo era fare figli: una biasimevole unione tra un tiranno incontrastato, il marito, e una schiava volontaria, cioè sua moglie.

 

 Russell sosteneva che gli esseri umani non sono come i piccioni, cioè non sono istintivamente portati alla monogamia: sono l’educazione religiosa e le regole sociali che gliela impongono. Lui si sposò tre volte e forse per questo raccomandava agli aspiranti sposi sia un periodo di convivenza a mo’ di prova sia di avere più rapporti sessuali – con gli altri e tra loro – prima di compiere il grande passo.

 

 Russell sapeva che la riuscita di un matrimonio non è garantita nemmeno tra due persone sinceramente innamorate e unite da grande attrazione fisica, poiché l’estasi dei sensi è temporanea e destinata inevitabilmente a sfiorire, e anche i sentimenti, per quanto forti, non sono eterni. Secondo Russell, un buon matrimonio è quello basato su affinità psicologiche comuni che tuttavia cambiano con il tempo e che ci si deve sforzare di mantenere il più possibile in equilibrio. Un’unione può dunque dirsi riuscita non solo con l’eventuale presenza di figli e nel lavoro comune di crescerli e di educarli, ma anche con l’affetto e la stima reciproca che tra marito e moglie devono rimanere vivi anno dopo anno.

 

 Russell era malvisto dai suoi contemporanei anche perché sosteneva che nella coppia la gelosia andava bandita, quale sentimento miserabile basato sull’errato concetto che un altro essere umano ci appartenga. Per questo le scappatelle extraconiugali – del marito e/o della moglie – non dovevano mai essere causa di dissidio, né tantomeno di divorzio: non dovevano minare né l’alleanza tra coniugi né l’affetto, bensì essere tollerate in base al presupposto che non sia possibile mettere a tacere per sempre i sensi, ma solo «placarli» per mezzo di avventure passeggere.

 

 Bertrand Russell metteva uomini e donne su un piano di parità assoluta, e sosteneva che il progresso risiedesse per buona parte nelle donne che conquistano la libertà, ma più della libertà formale ed esteriore – che spesso è calata dall’alto, concessa da governi maschili –, la libertà interiore, la sola che consenta di pensare e sentire autenticamente, e non secondo massime inculcate. Che una donna realizzi se stessa attraverso la maternità è una di queste, ed è, in quanto tale, una regola inventata dagli uomini: la radice della schiavitù femminile sta nella gravidanza e Russell riconosceva identica dignità sociale a quelle donne che risentivano, e perciò sfuggivano, la schiavitù corporale che avere figli comporta. Che l’indole naturale e innata delle donne sia la maternità, che le donne possano realizzarsi e definirsi solo attraverso la nascita e la crescita dei gli è dunque una falsità inventata dagli uomini e accettata passivamente dalle donne per un tempo sempre troppo lungo. Il progresso civile è nelle mani delle donne che reclamano e lottano per la loro autonomia mentale e fisica. Quelle donne che stimano la loro libertà al di sopra di ogni altra cosa.

 

 Oggi il mondo occidentale ha fatto molti passi avanti: in Italia, negli anni settanta, abbiamo ottenuto il divorzio e l’emanazione di un diritto di famiglia migliore rispetto a quello fascista precedente; e le donne, finalmente libere dal giogo paterno e maritale, non sono a atto diventate tutte lesbiche come paventava Amintore Fanfani nella sua delirante campagna elettorale antidivorzista.

 

 Da poco in Italia abbiamo ottenuto anche la legittimazione del matrimonio omosessuale, sebbene molti omosex lamentino che non sia per niente progressista mirare a sposarsi, avendo il matrimonio mostrato già nell’Ottocento i suoi limiti e nel Novecento il suo insuccesso.

 

 Si ritorna così al discorso di Russell: la monogamia ha intrinsecamente qualcosa che non va, che non ci soddisfa, o che ci soddisfa ogni volta ma solo all’inizio. È uno status irreparabilmente temporaneo, che siamo sempre meno disposti ad accettare.

 

 Ci battiamo tutta la vita per trovare il partner ideale, ancora oggi quel «per sempre» ci perseguita, e forse è tutta colpa di come siamo stati cresciuti e educati. Se da piccoli ci insegnassero, per davvero e sul serio, che un amore non può, in nessun caso, essere eterno, che è destinato a finire e che al massimo potremmo avere (almeno i più fortunati) vari amori che nel corso dell’esistenza ci accompagnino per brevi tratti, affronteremmo la vita con meno illusioni e aspettative. Invece ci ostiniamo a credere che quelle sensazioni di beatitudine, onnipotenza e pura estasi che ci dà l’amare e l’essere riamati siano indistruttibili.

 

 

 MONDO POLIAMOROSO

 C’è però chi sperimenta forme di innamoramento e di vita in comune diverse dalla monogamia: è quello che fanno i poliamorosi, venuti alla ribalta da poco, anche se in realtà attivi sulla scena da decenni. I poliamorosi non credono a atto che un anello al dito causi un blocco nervoso ai genitali, ma sostengono che una persona sia in grado e in dovere di amare più persone allo stesso tempo, sia spiritualmente che fisicamente, e che tutto vada affrontato alla luce del sole, perché tradimento e inganno hanno fatto il loro tempo.

 

 I poliamorosi dicono che ciò in cui abbiamo sempre creduto è completamente sbagliato, che la coppia monogama è un esperimento fallito e che ha mostrato tutta la sua inecienza. È ora di cambiare, di abbracciare stili di vita diversi: per questo oggi i poliamorosi si battono affinché le famiglie poli abbiano riconosciuti gli stessi diritti e doveri ottenuti dalle coppie omosessuali in vari paesi d’Europa e d’America. Desiderano pagare le tasse come tutti gli altri.

 

 I poliamorosi non credono al concetto della «dolce metà»: per loro una sola persona non è sufficiente ad appagarne né a completarne un’altra, e in un rapporto nessuno deve adattarsi a nessuno, ma ognuno ha il diritto sacrosanto di badare a se stesso e mantenere più relazioni contemporaneamente, che non portano alla felicità ma tuttavia a qualcosa di molto vicino.

 

 Ciononostante essere poliamorosi richiede rigide regole che implicano un modello di vita per molti versi più impegnativo della monogamia. A stilare le suddette regole ci hanno pensato Dossie Easton e Janet Hardy, due ex sessantottine oggi poliamorose doc, che nel 1997 hanno pubblicato il libro scandalo La zoccola etica, divenuto ben presto il manifesto del poliamore. Dossie e Janet sostengono che non si nasce poliamorosi ma che lo si diventa per scelta di vita, e loro due si autode niscono «zoccole» per sfida: ripetono questo termine non in ogni pagina del libro ma quasi, per liberarlo del suo potenziale offensivo e trasformarlo in positivo («Si è zoccole nella testa, non tra le gambe» è uno dei loro slogan).

 

 Così, una zoccola è una persona che celebra la sessualità in ogni sua forma, con mente e cuore aperti, ne ricerca il piacere e la vive secondo regole etiche che hanno come supremo comandamento quello di non ferire nessuno. Dossie e Janet spiegano che un poliamoroso è una stella all’interno di una o più costellazioni che sono le tribù, le famiglie poliamorose, più simili ad arcipelaghi che a isole dell’amore come vuole l’iconogra a della coppia perfetta. All’interno della costellazione si crescono gli che chiamano mamma e papà le loro stelle biologiche, zia e zio le altre che sono in connessione amorosa con i loro genitori. In una costellazione poliamorosa, ci sono due o più stelle vicine al centro, mentre altre in posizione più esterna e connesse magari non a tutte ma solo a una delle principali. Tutte le stelle possono o meno far parte di altre costellazioni, e la stella di una costellazione ne può generare una o più minori. Alcune sono stabili, altre vanno e vengono, altre ancora si accendono una volta sola. In una costellazione poli, non esiste il tradimento perché tutte le stelle fanno l’amore tra loro apertamente, non per forza nello stesso letto ma tutte nella stessa relazione. Ogni stella sa quello che fanno le altre, e tutta questa chiarezza, a detta dei poliamorosi, rende la vita più facile e serena.

 

 Ci sono costellazioni aperte, dove possono entrare o uscire un numero infinito di stelle e rimanerci dentro tutto il tempo che desiderano (una volta, saltuariamente, per sempre), e costellazioni chiuse, come le triadi, composte da tre poliamorosi fissi che fanno sesso tra loro e magari convivono; quelle a V, in cui un soggetto ha legami amorosi con due partner che non ne hanno tra loro; quelle formate da un numero stabilito di stelle che fanno l’amore tra loro e non ne accettano altre.

 

 In questi contesti possiamo parlare di polifedeltà, anche se Dossie e Janet specificano che la fedeltà nel poliamore è legata al concetto di poliamore stesso, cioè all’impegno di ognuno ad avere e mantenere relazioni multiple, senza tradire mai la fiducia degli altri partner poliamorosi. Secondo la cultura poli, ogni nuova stella va sempre accolta dalle altre mai come una rivale ma come un arricchimento: se manca il concetto di tradimento, manca anche quello di gelosia, inculcatoci da insegnamenti sbagliati e nocivi che dobbiamo disimparare.

 

 E come si disimpara la gelosia? Facendo un grandissimo e faticoso lavoro su se stessi, frequentando corsi di gestione della rabbia, di meditazione, di yoga, perché secondo Dossie e Janet non sono mai gli altri a farci del male, ma noi stessi siamo i soli responsabili. Siamo stati impostati in modo scorretto, dobbiamo resettare tutto e capire che nella società fluida le relazioni e i sentimenti sono instabili ma non meno veri. In una costellazione «poli», nessuna stella nuoce a se stessa né alle altre: dell’amore del singolo nulla si disperde facendo l’amore con altri, né dell’amore dell’altro nulla viene meno se questi ha rapporti con terzi. Non è vero che l’amore è una riserva limitata, è infinita, se lo si vive e prova con una persona non lo si toglie a un’altra, e viceversa. In una famiglia poliamorosa si esprimono tutte le sfaccettature e i bisogni sessuali di una personalità, che dà e riceve in egual misura.

 

 Non esiste un’univoca definizione del poliamore, e le tipologie possono essere tante quante sono le persone che lo praticano: ci sono poliamorosi asessuati che fanno poliamore senza sesso e ci sono stelle poliamorose che non vivono in costellazioni, ma in relazioni primarie a cui affiancano relazioni secondarie, terziarie, e via dicendo. Una relazione primaria può essere quella composta da una coppia che sta insieme da anni, ha gli, è soddisfatta del rapporto che ha, ma è stanca di fare l’amore a due e sempre nello stesso modo. Allora si «apre» a nuove esperienze e stipula degli accordi di coppia chiari ma flessibili per divertirsi senza nasconderlo al partner.

 

 Di questi accordi, fra i più variegati possibili, riporto solo alcuni esempi: lui e lei vanno a «scopacchiare» con altri tassativamente due volte al mese, in giorni e orari specifici, e solo in contemporanea; con gli altri partner si fanno determinate pratiche che la coppia primaria non riesce a fare tra sé (per esempio, pissing, giochi sadomaso, ma più sovente rapporti omosessuali); con gli altri partner è vietato fare quello che si fa con il partner primario (baci sulla bocca, rapporti orali); i partner primari sono obbligati a conoscere di persona i partner secondari reciproci, oppure l’opposto, per cui è vietato par- lare dei partner secondari con il partner primario.

 

 Ci sono poliamorosi primari che «giocano» a cercare e a scambiarsi partner secondari l’un l’altro e usano il termine «compersione» per spiegare la loro gioia nel vedere il partner primario sessualmente felice con un secondario. Alcuni poliamorosi mettono il sesso tra le attività da fare con gli amici: per essi, l’amicizia è un’ottima ragione per fare sesso, e fare sesso è un’ottima maniera per preservare l’amicizia. Spesso è solo con gli amici di letto non poli che un poliamoroso fa coming out: un passo difficile, rischiosissimo da affrontare sul posto di lavoro o con i genitori. Come dice la poliamo- rosa Ilenia: «Sono poli, i miei amici lo sanno, mamma e papà per ora no. Ci sono situazioni in cui arrivare con più partner può sembrare strano, come a una serata fuori con gli amici o a una cerimonia, dove di norma è previsto che tu venga accompagnata da una sola persona».

 

 Ogni anno si organizzano convegni, seminari, raduni poliamorosi in tutto il mondo; tra i più importanti c’è il Naughty in N’awlins, che si svolge a luglio a New Orleans: per una settimana si susseguono feste e dibattiti e la Parata della Libertà Sessuale che si snoda per il quartiere francese al grido di «La monogamia è un’anomalia!» e «Amo le orge!». Sul poliamore si fanno inchieste e serie tv, come genere il porno se n’è appropriato da tempo, e i siti di dating hanno aggiunto «poliamoroso» tra le loro categorie di ricerca. Nascono come funghi siti, blog, pagine social che spiegano e rispiegano quello che Dossie e Janet hanno messo su carta vent’anni fa: in Italia c’è R.Eti, associazione per la promozione delle «relazioni etiche non monogame», dove si va per scambiare le proprie esperienze, confrontarsi, ma anche per incontrare nuovi poli.

 

 In Inghilterra e negli Stati Uniti si sta dibattendo se sia giusto o meno concedere riconoscimento e tutele giuridiche alle famiglie poliamorose, soprattutto riguardo ai bambini presenti al loro interno. È innegabile che i poliamorosi mettano al mondo figli e li crescano secondo i loro principi. Essi sono convinti che il loro modello di vita non possa fare danni peggiori di quelli fatti finora da coppie etero emotivamente esaurite nel crescere i loro pargoli, e che genitori poliamorosi non traumatizzino un bambino più di quanto non abbiano già fatto, fanno e faranno divorzi etero/omosex per tradimento. Non appare né equo né giusto che un poliamoroso che cresce i bambini di uno o più dei suoi partner non abbia alcun diritto alle nozze.

 

 In anticipo su tutti gli altri paesi, la Colombia il 3 giugno 2017 ha ufficializzato la prima coppia poliamorosa al mondo, composta dal giornalista Manuel Bermudez, l’attore Victor Hugo Prada e il personal trainer Alejandro Rodriguez: i tre «mariti» potranno accedere alle rispettive pensioni quando diventeranno vedovi, richiedere le separazione dei beni e, importantissimo, adottare i figli minorenni biologici di ciascuno dei tre.

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